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Una sconfitta
Una poesia sfuma:
era solida roccia
satura di calcite
Ora non è che gallinella
in brodo, poi sarà cena
Questa corazza che il mondo
e le tenebre indossano
togliendosi lascia così poco
Il dolore di averci provato,
la sconfitta poetica.
Indosso al mignolo l'anello di mia sorella che comprò per duemila lire, una piccola fede intagliata in oro bianco. Chissà per quale strano motivo è arrivata nel mio dito. Sembra emergere da tutte le cose con una forza lunare. C'erano tra noi diciannove anni di età, lei si sposò quando ancora avevo cinque anni. Mio cognato entrò nella mia vita quasi alla chetichella, una sorta di fratello maggiore imposto dal destino. Ho sempre cercato di giudicarlo con poca severità, penso sempre che nessuno sia senza difetti o senza un pizzico di cattiveria. Dopo la morte di mia sorella, anche lui è uscito dalla mia vita, alla chetichella così com'era entrato mezzo secolo fa.
Dopo la prima bellissima figlia, nacque un bambino molto malato con la sindrome di Down e una disfunzione cardiaca. Ricordo il mio nipotino quando piangeva diventava cianotico. La morte di quel piccolino creò un legame indissolubile tra i coniugi. Mia sorella aveva una luce speciale, una sorta di vita oltre la vita, qualcosa che rimane dopo averla conosciuta, penso di essere l'opposto. Io non ho niente, non trasmetto niente, quel che ho dentro non lo espongo.
Osservo al mio mignolo quella fedina intagliata in oro bianco, ci gioco, sembra vivere ai riflessi della luce, forse nessuna cosa muore e ogni vita torna a stuzzicarci nei momenti bui o quando le domande si fanno più insistenti e i ricordi s'imprimono su oggetti innocenti, resi impuri dalle nostre paure.